lunedì 24 ottobre 2011

RESOCONTO FORNACE 2011

Devo dire la verità, non avevo mai letto nulla dei resoconti degli anni precedenti ma, leggendo i trafiletti degli incontri, la mia mente era stata colpita da immagini: insieme la sera sotto le stelle, il silenzio della campagna, l’accoglienza della natura, l’essenzialità della vita quotidiana… Quest’anno l’attrazione ad andare è stata forte e anche il tema mi sembrava interessante e particolare per una comunità religiosa. Pensavo che fosse un ritiro, uno dei ritiri annuali della comunità. Quando arrivammo mi sentii subito integrata nel luogo: la casa, la cappella, la nostra stanza, la cucina, tutto era già dentro di me. Ci spiegarono come funzionava lì la vita senza elettricità e acqua corrente. Anche questo mi sembrò naturale. Ad un tratto era l’alternarsi della luce e del buio a regolare i nostri ritmi quotidiani, così come la conservazione del cibo non era più affidata al nostro beneamato frigorifero e l’acqua non usciva a piacimento dai rubinetti ma solo se veniva pompata, il tutto senza sprechi. Tutto rientra in quell’essenzialità nell’uso delle cose che oramai ci sembra scontata, ma che è in linea con lo spirito della nostra comunità. Il tema del cibo, ampio e complesso, è stato sapientemente e con chiarezza introdotto da Carlo, che ha toccato punti importanti di questa tematica. Dalla mela con cui inizia la vita sulla terra, alle nozze di Cana e all’Ultima Cena con cui inizia e finisce la vita pubblica di Gesù. Una simbologia ricca e di grande esempio è rappresentata dalla manna che Dio dà agli ebrei nel deserto. Dio, infatti, fa scendere la manna in modo sufficiente alle necessità giornaliere di ciascuno, perché tutti possano sfamarsi ma non farne scorta. Nello stesso tempo il sovrappiù serve perché anche gli ultimi, i deboli, possano cibarsi senza dover avere gli scarti o dover raschiare i residui dalla terra. Il cibo, quindi, diventa un elemento non legato esclusivamente ad un bisogno fisiologico o perfino a delle compulsioni psicologiche che talvolta trasmettiamo ai nostri stessi figli. È necessario recuperare l’unità tra corpo e spirito e, nello stesso tempo, l’armonia con la natura. Il nostro corpo da noi stessi ‘maltrattato’ o ‘idolatrato’ porta i segni di questa sofferenza. L’attenzione e il rispetto non estetico ma etico ci avviano ad una comprensione più profonda di noi stessi e molto concretamente alla prevenzione di tante malattie ‘provocate’ dalle nostre cattive abitudini. Tutto questo è intimamente legato alla contemplazione della natura e al rispetto della terra, troppo spesso solo sfruttata. Attraverso il cibo passa anche l’attenzione per l’altro: mangiare insieme è anche rispettare, ascoltare, condividere, amare. Amare i più deboli, come Dio ci insegna con la manna, non significa dare i nostri scarti, le nostre briciole, ma si tratta di guardare lo spirito che c’è in ciascuno uomo, rispettandone la dignità. Cibo-nutrimento, patologie legate al cibo, frodi alimentari, trappole della pubblicità, cibo stagionale e a km 0: abbiamo condiviso su questo pensieri personali ed esperienze. Dulcis in fundo, uno psicoterapeuta amico della Comunità ci ha parlato di un metodo nutrizionale, il metodo Kousmine, molto utile per la prevenzione di malattie e per una sana alimentazione in cui si auspica un ritorno all’uso dei legumi, si evitano cibi raffinati come zucchero e farine bianche e si limitano il latte, i latticini e la carne. Mentre i bambini si lanciavano dalle liane sugli alberi e giocavano a ritmo continuo, io provavo timidamente a rimpinguare i nostri ritmi di preghiera Lodi-Vespri-Messa con qualche momento di raccoglimento in cappella. Era difficile, c’era sempre qualcosa da fare o qualche bimbo da consolare o qualcuno che parlava. Allora, ho capito che la forza di quest’incontro all’Eremo sta proprio nell’essere “vacanza della comunità”, del vivere in comunità, come quasi mai è possibile ripetere durante l’anno, nemmeno nei ritiri. La mancanza di tempi ‘forti’ di preghiera è, invece necessaria per vivere la stessa quotidianità che noi laici viviamo normalmente: piena di cose da fare, lavori, pranzi o cene da preparare, bimbi da accudire, amici con cui stare… ma con ciò che fa la differenza: tutto alla presenza di Dio e tutto il tempo e le cose consacrate a Cristo, tanto da non distinguere se fosse preghiera tagliare la cipolla o pompare l’acqua, apparecchiare o recitare i vespri. Siamo tornati pieni di Dio perché in Lui abbiamo riposato. Nancy

venerdì 23 settembre 2011

Nove mesi

"Per fare il pane ci vogliono nove mesi", disse il vecchio Murica. "Nove mesi?" domandò la madre. "A novembre il grano è seminato, a luglio mietuto e trebbiato." Il vecchio contò i mesi: "Novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio. Fanno giusto nove mesi. Per maturare l'uva ci vogliono anche nove mesi, da marzo a novembre". Egli contò i mesi: "Marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre. Anch'essi fanno nove mesi". "Nove mesi?" domandò la madre. Essa non vi aveva mai riflettuto. Lo stesso tempo ci vuole per fare un uomo. Ignazio Silone, Pane e vino

lunedì 28 febbraio 2011

Traccia incontro 2011


Anche in questo 2011 intendiamo proseguire il nostro viaggio alla ricerca di uno stile di vita in linea con la nostra vocazione a vivere una spiritualità monastica seppur immersi nel mondo. Per quest'anno abbiamo scelto di incontrarci all'Eremo della Fornace nei giorni dal 5 al 9 luglio e come tema abbiamo pensato al rapporto che abbiamo col cibo, col nostro pane quotidiano.
Padre Barsotti, sulla scorta del card. Danielou, era solito richiamarsi ad una triplice Rivelazione di Dio: quella cosmica, quella profetica e quella cristiana, dove l'ultima non ha abolito le precedenti, ma le ha portate a compimento rivelandocene il senso.
Ebbene, in tutti i tempi e in tutti i luoghi l'atto del mangiare ha rivestito un carattere sacrale. Quell'atto che oggi è spesso vissuto come mera necessità fisiologica o come nevrotica compensazione psicologica, nella rivelazione cosmica era posto a fondamento della coesione sociale e dell'armonia fra Cielo e terra. Quelli di noi che sono più anziani e che forse hanno vissuto gli stenti della guerra conservano un profondo rispetto per il cibo in quanto simbolo di questo legame. Da bambino non capivo il perché mio padre ribadisse in modo perentorio che “il pane non si butta”: buttavamo di tutto e quello del pane mi sembrava un tabù superstizioso. Oggi, infatti, non siamo più consapevoli della preziosità del cibo poiché questo bisogno è continuamente soddisfatto e con il minimo sforzo. Non solo: i ritmi della modernità, la fretta, le cattive abitudini ci hanno fatto dimenticare il gusto e l’impegno nel guadagnarselo e, soprattutto, nel condividerlo. Per molti di noi anche il “mangiare insieme” è diventato l'eccezione, e così sono sempre meno le occasioni che ci consentono di sentire la vicinanza degli altri, offrendoci l’opportunità di stringere amicizie o rinsaldare vincoli comunitari. Non ci dimentichiamo che il cibo è cultura e identità: osservando ciò che mangiamo possiamo capire molto di noi e della società in cui viviamo. I cibi sono diventati sempre più artificiali nei sapori, negli odori e nell'aspetto, non ci rimandano più ai doni della terra e non ci comunicano più l'affetto di chi li preparava secondo gesti quasi rituali tramandati di generazione in generazione. Allo stesso modo anche le nostre vite diventano più artificiali e i legami che ci connettevano al nostro passato sono visti come inutili fardelli: viviamo senza accorgercene una sorta di adolescenza patologica.
Ne “la mia giornata con Cristo”, invece, padre Barsotti ci ricorda come ogni nostro atto si possa e si debba richiamare alla vita sacramentale, alla vita di Dio. E' questo il significato autentico della tradizione: tramandare il senso autentico della realtà. E dopo la rivelazione cosmica abbiamo quella profetica, quel “non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” per primo espresso dal Deuteronomio che ci riporta ad un simbolismo ancora più profondo: il nutrirsi dell'anima oltre che del corpo.
E, in ultimo, tutto convoglia alla rivelazione del Cristo, che riunisce tutti i significati del pasto sacro in una nuova luce: non è un caso che il primo e l'ultimo atto della vita pubblica di Gesù (le nozze di Cana e l'Ultima Cena) siano proprio dei conviti.
Il “pane quotidiano”, la richiesta più basilare dell'uomo di sempre, ci rivela quindi nuovi e sempre più profondi significati: “il pane che l’anima chiede è il Corpo di Cristo, è Gesù medesimo, il Pane vivo disceso dal cielo. Ed è certo questo alimento che, unico, può veramente saziare l’anima cristiana”. Averlo sempre presente, badando sempre tenere unita la nostra vita naturale a quella soprannaturale.

lunedì 21 giugno 2010

Si vis pacem



Molti di voi, leggendo la frase “si vis pacem”, l'avranno mentalmente completata con “para bellum”: è l'antico motto romano “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Come a dire: la pace è una cosa buona e auspicabile, ma per raggiungerla è necessario prepararsi a combattere.
E' un motto che rivela la profondità del genio latino, del suo pragmatismo virile. Ma come esiste un approccio alla realtà 'virile', ne esiste anche uno 'muliebre'. A questo proposito, circa quaranta anni fa, padre Barsotti diceva: “Giovanni Battista e la Vergine. Un tipo di santità maschile, un tipo di santità femminile. Ci possono essere degli uomini di tipo di santità femminile e donne di santità maschile. Ma comunque ci sono questi due tipi di santità cristiana. Nell'uno la santità è legata all'uomo perché l'uomo è fattore di storia, è colui che ha una missione, una responsabilità nei riguardi degli uomini. Nell'altra è invece una santità che è in rapporto con la creazione, con la psicologia, con la biologia”.
Noi dobbiamo considerare entrambi questi approcci, senza essere unilaterali.
Ecco che, allora, il successore di Pietro ci indica anche una via 'femminile' alla pace: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, titola il messaggio della 43° Giornata Mondiale della Pace. Qui, il Santo Padre ha ampiamente ripreso il tema del rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale espresso anche nell'Enciclica Caritas in veritate, ribadendo che «ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale»1.
Ma in che direzione muoversi?
«La crisi ecologica», afferma Benedetto XVI, «offre una storica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori propri della carità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani2. [...] Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita “nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”3».
Come abbiamo sempre sostenuto nel corso dei nostri incontri alla Fornace, dobbiamo prendere atto che «il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale4 [...e che] la ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato».
È nel solco del magistero di Benedetto XVI e del nostro Padre Fondatore che vogliamo trascorrere la nostra settimana alla Fornace, dal 5 al 10 agosto. Chi fosse interessato può iscriversi avvisando il curatore del blog.
«Per questo, invito tutti i credenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.»


1Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 37.
2Cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 49, 5.
3Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36.
4Cfr. Lett. enc. Caritas in veritate, 15.51.

giovedì 14 gennaio 2010

pensieri extra vaganti

Qual è il rapporto della città con l'uomo?
La città non ti conosce più e tu non la conosci.
Quanto più è grande, tanto più sei un ospite, uno straniero, tanto più povera e vuota diviene la tua vita.
E forse per questo che l'uomo ama vivere nella città? per fuggire se stesso?
Per perdersi?

Il mondo ci spersonalizza
Gli uomini oggi sono fatti in serie, le personalità
diminuiscono giorno per giorno, tutti diveniamo
come i polli di allevamento: allevamento nelle
fabbriche, allevamento in questi casoni. Basta
entrare in queste città come Palermo o Milano o
tante altre: questi grandi fabbricati dove stanno
centinaia di famiglie! Siamo animali
d’allevamento, non c’è nulla da fare, perché il
fatto di vivere in un ambiente simile pian piano ci
fa uguali tutti. Tutti leggono il medesimo giornale,
tutti vanno con il medesimo autobus, tutti fanno
le stesse cose tutti i giorni, hanno gli stessi gusti,
mangiano le stesse cose. Sapete come si fa in
America? Si va alla tavola calda, così in piedi, e si
prende tutti la medesima cosa. È spaventoso!
Guardate che la decadenza della cucina è anche la
decadenza dell’umanità. È una cosa importante
anche questa, perché tutto quello che implica la
salvezza dell’uomo implica la distinzione
personale. Come sarebbe bello vedere camminare
quello con i pattini, quello con i trampoli.. E invece
non si vedono mica camminare così! Ci sono le
macchine e basta.
Il mondo ci salva facendoci animali, perché la
salvezza a cui ci portano i partiti implica di per sé il
livellamento delle coscienze, il livellamento
dell’intelligenza, il livellamento della vita
economica: tutti si deve star bene. E se io voglio
star male? Ma guarda un po’, non mi lasciano
nemmeno la libertà di star male! Ci danno giorno
per giorno da mangiare come ai polli. Se si va
avanti di questo passo si finisce così. Praticamente
tutta l’economia degli stati, tende a liberarci da
ogni proprietà personale perché poi tutti
diventiamo gli stipendiati del governo, il quale
penserà tutti i giorni a farci mangiare una bistecca,
a darci due o tre contorni, il dolce e la frutta. Oh,
ma sentite un po’, a me mi piace ogni tanto fare
anche il digiuno! Ma che storie son queste di
ricattare gli uomini? L’uomo deve essere salvato
per quello che è, non livellarlo per poterlo salvare.
Ed è Cristo soltanto, ed è Dio soltanto che ci salva.
Donarci a Lui non vuol dire perdere noi stessi, i
nostri connotati: Egli ci conosce per nome, dice il
Vangelo.

Divo Barsotti

venerdì 11 settembre 2009

Vivere nella Sua Volontà

Ricevo da Danilo questo suo scritto sul progetto che sta prendendo vita a Tagliavia

Dopo questo tempo supplementare di quaresima - i giorni top delle feste di Maggio - si ritorna al silenzio e al vento costante e capriccioso, che rinfresca i giorni d’estate e s’infuria d’inverno. Ma è pur sempre Sicilia e avendo preso dimistichezza con la stagione invernale il clima risulta ottimo, tant’è che nella vicina frazione di Ficuzza (del bosco omonimo) i villeggianti da sempre per la qualità salubre dell’aria vengono per risollevarsi un po’ dall’asma o per le difficoltà respiratorie di varia natura.

Siamo al santuario della Madonna del Rosario di Tagliavia ad un’ora da Palermo, qui il silenzio e la vita si sposano. Solo d’estate la trebbia miete dall’alba fino al tramonto, la sento a distanza ogni tanto quando sono sotto vento. Poco sotto il mio balcone, si stendono morbide colline, sembrano grandi dune ora dorate di grano, ora verdeggianti di viti, di filari di olivi, di ciliegi, di fieno e avena per gli armenti e ben 50.000 giovani alberi del costituente bosco della Madonna di Tagliavia!

Questo vento birichino è un vero spasso per la miriade di passeri, rondini, gazze, corvi, rapaci albanelle, e il regnante falco pellegrino. Il suo potente fruscìo fa da sottofondo agli uccelli che senza tempo cantano, in special modo dall’alba e al tramonto. Li vedi volare, li ascolti, ti sbirciano, senti potente la vita che scorre, ti mettono allegria e ti accompagnano tutto il giorno, sono piccoli maestri di vita che vivono il Cristo nella gioia. Ovviamente a terra, furtivi, tra cacciatori e cacciati ci sono gli animali dei campi, si intravedono volpi, conigli, ricci, e le tante simpatiche tartarughe nere. Non mancano, infine, cavalli liberi, mucche, e greggi guidati da bianchi e fidati cani pastore.

E, come se non bastasse, lo scenario più spettacolare è proprio di fronte all’eremo, a pochi passi: l’incanto del laghetto volto al tramonto. È sempre pieno d’acqua e di pesci, è una sorta di silenziosa “base aerea”, un’oasi d’acqua libera, inutilizzata e incontaminata, popolata di uccelli d’acqua, stanziali e migratori, che come aerei atterrano, ripartono, nidificano, si azzuffano nell’acqua e pescano. Ci sono anche trampolieri, addirittura un timido gruppo di dodici cicogne... tutto questo è favoloso!


Insomma: natura, natura, un distillato di energia vitale allo stato... naturale! Qui non possono mancare gli hobbit del luogo, quei pochi contadini del colore della terra bruciata e con le facce di bambini cresciuti, dalle mani di ferro, massicci e mansueti. Pare che il tempo qui non sia mai passato e li abbia forgiati così uguali da migliaia di anni. Ti guardano sì sorridenti ma come se fossi un marziano caduto lì sulla terra, allegramente ti trinciano la mano ad ogni saluto… Ogni tanto stai un po’ con loro e ti fanno teologia senza saperla e t’incanti e ti stupisci.

Questo giardino di Dio per i “passanti” viene definito un posto solitario, abbandonato, lontano dalle città. Di certo è un luogo essenziale (poche le “distrazioni”) ma, fatalmente, chi si vuol fermare qualche ora, s’incanta. È Dio che risponde con la pacifica maestà della sua creazione alla sete di chi mai trova pace col proprio mondo.

Attraverso l’iconografia dei segni naturali di questo luogo dell’infinito chiunque entra in un contatto intimo e totale, forse mai cercato prima, è come uno spiraglio di luce alla sua inconscia ricerca di Dio. Sei immerso e al contempo sei di fronte al quadro che tuo Padre dipinge, insieme all’uomo antico e fedele che lo coltiva e lo custodisce alla maniera di Adamo prima della rottura dell’alleanza. Dio, in questo avamposto di paradiso, insieme all’uomo crea ancora la sua essenza vitale, la bellezza, effonde il suo canto per il suo diletto, fuori dal tempo eppure sempre nuovo, semplice e nel contempo divino. Chiunque ne sia alla ricerca, sente il suo fascino, saggia la verità di essere fatto di questa realtà, unica e totale, sei il fine del suo amore, il germoglio filiale della sua teofania permanente. Vedi tua madre e sorella natura. Lui la crea per te e la dispone mirabilmente perché tu ogni giorno possa contemplarlo nel Suo Lavoro e così ne assumi la sua stessa visione amante, a dipingi insieme con Lui.

Come Geremia: “mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre”.

Nessuno se ne va da qui zitto, senza dover dire una parola di stupore. La domenica dopo la messa del vespro i visitatori ritornano a casa incantati, i locali se ne stanno qui fino a tardi, vispi e festosi insieme agli uccelli che schiamazzano sugli alberi.

Sono già le otto di sera. Il tramonto sta cominciando, è lo spettacolo supremo, come di una prima teatrale, il visitatore guarda l’orologio, è tardi, è andato fuori dall’orario di libera uscita, deve rientrare - col magone - in città. Promettono di ritornare prima possibile e di starci anche di più ma quasi mai ritornano, forse dispersi nei tunnel dell’industria del caos, la città, o forse questo mondo non gli appartiene più e allora è come andare allo zoo, solo che ti accorgi che ora in gabbia ci sono loro.

Com’è possibile, Dio crea tutto ciò per il nostro bene e non lo vediamo più, desideriamo altro. Siamo cambiati? Chi siamo? Qual è il nostro mondo, quello creato da Dio con nostra sorella natura o quello che creiamo noi nella città, in nome di chi? Dio pazientemente lo cura aspettando sempre qualche figliol prodigo. Credo che oggi, oltre alla conversione spirituale, ci debba essere anche una conversione verso il nostro stato naturale, l’ecosistema in cui siamo stati concepiti. Non possiamo riconoscerci in una natura sfigurata da sviluppi di modelli non umani e non cristiani, altrimenti facciamo solo conversioni monche e questo non basta. Noi oggi facciamo un meraviglioso cammino spirituale, ma sul piano materiale alimentiamo di fatto l’esistenza schiava e suicida del mondo. Il nostro spazio vitale creato da Dio non è la città che è sempre più un inferno.

È il tramonto. In barba ai vari pro e contro esistenziali e teologici qui è sempre un’immensa orchestra, colori e suoni incantevoli per ogni stagione e, come vecchi amici di sempre, al vespro ti incontri con Dio Padre nel suo “vecchio” giardino come Adamo ed Eva.

Finita l’attività quotidiana faccio i vespri, che in estate recito mezz’ora prima che il sole sparisca perché dopo, nella luce del tramonto, nel silenzio raccolto, c’è Dio che prega… e qui diventa indicibile e riduttivo esporvi davvero cosa si prova ogni sera, ne rimango sempre stupito. Tu lo contempli, lo adori, e ti perdi in questa dilatazione in tutte le cose create, perché anche Dio ha desiderio di te e si adatta a te, si offre alle tue emozioni. E così la tua natura, nella Sua Paterna, è Una, si sublima.

Melodia senza parole, è una liturgia cosmica d’amore, un matrimonio in cui Dio a te svela la tua infinita bellezza sposandoti con la pura bellezza del suo creato. Parole enfatiche? No, è la realtà. È la “visio dei” che in te trova luogo, si fa grembo beato del tuo Signore.

È ovvio pensare allora che il giovane pastorello Davide vedendo il suo Divin Padre dipingere il creato, Lo contempli e partecipi lodando e cantando beato, come può fare solo un’anima figlia, che proprio nell’amore creatore del Padre è libera, e tutta si dona a lodare Dio in tutto il creato, è il suo unico infinito desiderio e che ripete in noi: il Signore è il mio pastore non manco di nulla, in pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce... Davide cantava leggendo lo spartito divino della natura che l’uomo ascoltava già prima che la Parola si rivelasse in Cristo Gesù. Il vero Dio si rivela nella Parola, in Gesù Cristo, ma si rivela prima ancora nel creato con un linguaggio universale che tutti gli esseri viventi possono ascoltare e condividere. E' un linguaggio trascendente a tutte le creature e si rivela a ciascuno secondo la propria capacità e identità ma che ha sempre un’anima comune sorgente che unifica tutte le creature e le raduna tutte in una sola voce: un solo Dio, il Dio Uno e Trino. Perciò, anche il non credente, o l’indifferente, senza saperlo qui loda Dio ed io come Maria “serbo nel cuore”, nel segreto esulto di gioia, allora mi adeguo e condivido col suo parlare l’Unica gioia di Dio, il sentirci uniti, donando Dio al di là dei linguaggi. Il linguaggio della natura è allora il primo linguaggio che ci accorda alla generante melodia dello Spirito del Padre e porta ad aprirci in ciò che siamo: persone. Noi viviamo per essere persone, cioè per incontrarci, per fondarci, per rinnovarci, per espanderci nel Cristo sempre giovane, reciproci amanti dei tesori dell’altro, senza le divisioni dalle logiche dell’io, sentirsi l’uno nell’altro chiunque sia col linguaggio umile della Tota Pulcra.

Il vento è fresco anche oggi che è Luglio inoltrato. Francesco torna a casa coi suoi aiutanti stagionali, è il contadino che lavora per mantenere l’enorme podere del santuario, frutto antico di vari lasciti ai monaci che lo affidavano a chi era senza lavoro: 157 ettari!

Solo ora capisco cos’è questo santuario e che forse vale per tutti i santuari, è sì un segno voluto da Dio, il luogo che Dio sceglie per comunicarsi attraverso segni straordinari. Padre Barsotti ne parla nella TEOLOGIA DEI SANTUARI E DEI PELLEGRINI” (Relazione allegata all’Adunanza di Firenze del 5 marzo 1972), ma quello di cui non posso tacerne la gioia, è il segno di fondo oltre i segni miracolosi propri dei santuari: è che Lui con tutta la sua natura sembra che preghi per te, in te che sei lì. Non riguarda solo qualche giorno, qualche momento ispirato, qui ascolti Dio che prega nel linguaggio da Lui creato per te, la natura tutta, universale, visibile e invisibile; con esso sana e colma la tua essenza umana unificandola fino alla pienezza del creato, che tu ti dica ateo o religioso, sei così.

Dio crea la bellezza e tu stai lì, sedotto dalla stessa melodia davidica di quegli strumenti che a Lui s’intonano e in Lui si rinnovano e ne vivono la stessa essenza dinamica, spettacolare certamente, ma più ancora immensa, profonda, semplice. Lì sei puro ascolto. Fuso in questa dinamica a volte non sai più dove finisci tu e dove comincia Lui, sei Uno nel Figlio, e nel Figlio sei il Padre e in essi sei tutto, chiunque tu sia, così come sei anche se non lo sai... (che capogiro di parole!). Vi può sembrare una stupidaggine, ma hai la sensazione che Dio sia qui finalmente libero di donarti il fior fiore di sé per i tuoi sensi intorpiditi, indolenziti, o sclerotizzati che, per quanto induriti, si distendono e si riunificano a questa semplice paradisiaca tenerezza. E ti senti bellezza nell’Uno, e sei Uno, e puoi dire nell’infinitezza e nella pienezza del Cristo vivo: “io sono”, senza temere facili smentite teologiche. Nell’immenso tu Sei.

Tutto sembra immobile e tutto invece si muove, non c’è nulla di ripetitivo, di simile, di stancante, ogni istante è una commovente icona vivente. Come ex fotografo mi diverto molto, ma credo sia un bella sfida anche per un pittore, quante emozioni da condensare in un quadro!

Chiunque qui guarisce. Non può non ascoltare tutta questa maestà. Mi richiama, la teofania biblica del grande carro di Dio di Ezechiele che avanza irresistibile e ti intona alla sua stessa nota, e senza che tu ti perda in essa acquisti la tua specifica unità in Lui che è e ti dona la tua esistenza piena. Quale sia la tua vita, qui capisci l’essenza della parola “tutto”, “pieno”, “uno”, “infinito”, e te ne senti così parte da esserne tutto sposo o meglio sposa di Cristo. Ora so cos’è un santuario. Qui i sandali non ti servono più, devi toglierli, come Mosè, e come Davide sei sui pascoli erbosi e verdeggianti di Dio. Come nella natura vergine di Maria, Dio Padre ti accoglie nel suo grembo generante, nel seno dell’immacolata concezione di ciò che sei in Cristo.

Senza timore puoi dire “io sono”, sono parte piena ed unica di quest’immensa vita, che tutta si dona in me, anche se fossi l’ultimo scarto della terra.

Spero di avervi fatto capire che, anche qui, si sta bene se il tuo cuore cerca davvero Dio solo.

Sopra l’altare del santuario sotto il quadro seicentesco della Madonna del Rosario c’è scritto “Salus Infirmorum”, e veramente qui mi sento sempre più un infermo al cospetto di Dio e a ciò che siamo per Dio Nostro Padre. Proprio per mezzo di queste stesse infermità, ci rivela il Cristo in noi, l’amore vivo e vero, ovunque e chiunque siamo, perché come in Maria Madre siamo sacramento d’amore. Qui è un’infermeria dello spirito, i guariti diventano infermieri e il dottore è Gesù Cristo, con Maria che accoglie tutti nel suo grembo d’amore.

Per quanto tu sia fatto di città, Dio ancora umilmente si abbassa visibile nella sua natura poderosa e prega colla sua creazione e col suo Lavoro per te, figlio nel Figlio.

Sono passate due ore e al posto del tramonto è spuntato uno spicchio di luna rossa sul ciglio delle colline blu sotto uno splendore di stelle. Non sto sognando sto semplicemente vivendo il sogno di Dio.

In Cristo davvero tutto è compiuto, in Lui noi figli non dobbiamo fare altro che questo: render la Grazia del Cristo vivente coltivando e custodendo il suo paradiso, il mondo visibile e invisibile del suo Spirito.


Scusatemi per questo turbine di pensieri, sensazioni e stupori, toccate e fuga che le mie scarse parole impoveriscono, ma sento giusto lodare il Signore e mi è impossibile contenermi ancora e quindi cercate di non far caso alla mia inadeguatezza letteraria.

E, visto che siamo alla fine, “Pregate Pregate Pregate” come dice la Madonna a Medjugorje per la santità di un linguaggio universale e per il mio cammino sacerdotale. Sono al secondo anno e, come soleva fare Damiano ora sacerdote, vi chiedo di pregare per i miei studi, specie per gli esami, che non perda tempo visto che sono prossimo ai cinquanta anni anagrafici.

Pregate ininterrottamente perché altri possano sentire la chiamata a vivere in questo luogo dell’infinito, un avamposto di Dio dove il Signore ha posto la sua “piccola ancella”, proprio Lei mi ha chiamato qual grande peccatore col suo rosario santo, questo è l’eremo e santuario della Madonna del Rosario di Tagliavia a 12 km da Corleone, Palermo.

Per questo ben di Dio vi ricordo, già nel titolo, che il nostro compianto arcivescovo Cataldo Naro ha desiderato tanto disporlo per la comunità nostra e che col suo successore arcivescovo Salvatore Di Cristina con l’assenso di p. Serafino allora superiore generale, ciò è diventata volontà di Dio con la mia presenza, perché divenisse un segno vivo e permanente della CFD nella Chiesa dove si è tanto prodigato il nostro padre vescovo amato dal Padre.

Nel Feng Shui, un’antica arte cinese ausiliaria dell’architettura, il monastero deve avere delle risorse naturali dall’ambiente, sia morfologiche che abitative. La cultura cinese predilige che ci siano il vento e l’acqua, la cultura occidentale predilige il paesaggio. Entrambe devono essere presenti per l’equilibrio psicofisico dell’uomo. Sussistenza materiale e infinitezza spirituale, due componenti vitali per una permanenza nel tempo di un habitat umano equilibrato.

Un grande abbraccio a tutti e spero d’incontrarvi presto!

Un grande abbraccio anche a quelli che si scordano di pregare per ciò!

vostro Danilo Di Trapani.

daniloditrapani60@yahoo.it

Sal 65, 12 . 24

Coroni l’anno con i tuoi benefici,

al tuo passaggio stilla l’abbondanza.

Stillano i pascoli del deserto

E le colline si cingono di esultanza.

I prati si coprono di greggi,

le valli si ammantano di grano.

Tutto canta e grida di gioia.