lunedì 24 ottobre 2011

RESOCONTO FORNACE 2011

Devo dire la verità, non avevo mai letto nulla dei resoconti degli anni precedenti ma, leggendo i trafiletti degli incontri, la mia mente era stata colpita da immagini: insieme la sera sotto le stelle, il silenzio della campagna, l’accoglienza della natura, l’essenzialità della vita quotidiana… Quest’anno l’attrazione ad andare è stata forte e anche il tema mi sembrava interessante e particolare per una comunità religiosa. Pensavo che fosse un ritiro, uno dei ritiri annuali della comunità. Quando arrivammo mi sentii subito integrata nel luogo: la casa, la cappella, la nostra stanza, la cucina, tutto era già dentro di me. Ci spiegarono come funzionava lì la vita senza elettricità e acqua corrente. Anche questo mi sembrò naturale. Ad un tratto era l’alternarsi della luce e del buio a regolare i nostri ritmi quotidiani, così come la conservazione del cibo non era più affidata al nostro beneamato frigorifero e l’acqua non usciva a piacimento dai rubinetti ma solo se veniva pompata, il tutto senza sprechi. Tutto rientra in quell’essenzialità nell’uso delle cose che oramai ci sembra scontata, ma che è in linea con lo spirito della nostra comunità. Il tema del cibo, ampio e complesso, è stato sapientemente e con chiarezza introdotto da Carlo, che ha toccato punti importanti di questa tematica. Dalla mela con cui inizia la vita sulla terra, alle nozze di Cana e all’Ultima Cena con cui inizia e finisce la vita pubblica di Gesù. Una simbologia ricca e di grande esempio è rappresentata dalla manna che Dio dà agli ebrei nel deserto. Dio, infatti, fa scendere la manna in modo sufficiente alle necessità giornaliere di ciascuno, perché tutti possano sfamarsi ma non farne scorta. Nello stesso tempo il sovrappiù serve perché anche gli ultimi, i deboli, possano cibarsi senza dover avere gli scarti o dover raschiare i residui dalla terra. Il cibo, quindi, diventa un elemento non legato esclusivamente ad un bisogno fisiologico o perfino a delle compulsioni psicologiche che talvolta trasmettiamo ai nostri stessi figli. È necessario recuperare l’unità tra corpo e spirito e, nello stesso tempo, l’armonia con la natura. Il nostro corpo da noi stessi ‘maltrattato’ o ‘idolatrato’ porta i segni di questa sofferenza. L’attenzione e il rispetto non estetico ma etico ci avviano ad una comprensione più profonda di noi stessi e molto concretamente alla prevenzione di tante malattie ‘provocate’ dalle nostre cattive abitudini. Tutto questo è intimamente legato alla contemplazione della natura e al rispetto della terra, troppo spesso solo sfruttata. Attraverso il cibo passa anche l’attenzione per l’altro: mangiare insieme è anche rispettare, ascoltare, condividere, amare. Amare i più deboli, come Dio ci insegna con la manna, non significa dare i nostri scarti, le nostre briciole, ma si tratta di guardare lo spirito che c’è in ciascuno uomo, rispettandone la dignità. Cibo-nutrimento, patologie legate al cibo, frodi alimentari, trappole della pubblicità, cibo stagionale e a km 0: abbiamo condiviso su questo pensieri personali ed esperienze. Dulcis in fundo, uno psicoterapeuta amico della Comunità ci ha parlato di un metodo nutrizionale, il metodo Kousmine, molto utile per la prevenzione di malattie e per una sana alimentazione in cui si auspica un ritorno all’uso dei legumi, si evitano cibi raffinati come zucchero e farine bianche e si limitano il latte, i latticini e la carne. Mentre i bambini si lanciavano dalle liane sugli alberi e giocavano a ritmo continuo, io provavo timidamente a rimpinguare i nostri ritmi di preghiera Lodi-Vespri-Messa con qualche momento di raccoglimento in cappella. Era difficile, c’era sempre qualcosa da fare o qualche bimbo da consolare o qualcuno che parlava. Allora, ho capito che la forza di quest’incontro all’Eremo sta proprio nell’essere “vacanza della comunità”, del vivere in comunità, come quasi mai è possibile ripetere durante l’anno, nemmeno nei ritiri. La mancanza di tempi ‘forti’ di preghiera è, invece necessaria per vivere la stessa quotidianità che noi laici viviamo normalmente: piena di cose da fare, lavori, pranzi o cene da preparare, bimbi da accudire, amici con cui stare… ma con ciò che fa la differenza: tutto alla presenza di Dio e tutto il tempo e le cose consacrate a Cristo, tanto da non distinguere se fosse preghiera tagliare la cipolla o pompare l’acqua, apparecchiare o recitare i vespri. Siamo tornati pieni di Dio perché in Lui abbiamo riposato. Nancy

venerdì 23 settembre 2011

Nove mesi

"Per fare il pane ci vogliono nove mesi", disse il vecchio Murica. "Nove mesi?" domandò la madre. "A novembre il grano è seminato, a luglio mietuto e trebbiato." Il vecchio contò i mesi: "Novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio. Fanno giusto nove mesi. Per maturare l'uva ci vogliono anche nove mesi, da marzo a novembre". Egli contò i mesi: "Marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre. Anch'essi fanno nove mesi". "Nove mesi?" domandò la madre. Essa non vi aveva mai riflettuto. Lo stesso tempo ci vuole per fare un uomo. Ignazio Silone, Pane e vino

lunedì 28 febbraio 2011

Traccia incontro 2011


Anche in questo 2011 intendiamo proseguire il nostro viaggio alla ricerca di uno stile di vita in linea con la nostra vocazione a vivere una spiritualità monastica seppur immersi nel mondo. Per quest'anno abbiamo scelto di incontrarci all'Eremo della Fornace nei giorni dal 5 al 9 luglio e come tema abbiamo pensato al rapporto che abbiamo col cibo, col nostro pane quotidiano.
Padre Barsotti, sulla scorta del card. Danielou, era solito richiamarsi ad una triplice Rivelazione di Dio: quella cosmica, quella profetica e quella cristiana, dove l'ultima non ha abolito le precedenti, ma le ha portate a compimento rivelandocene il senso.
Ebbene, in tutti i tempi e in tutti i luoghi l'atto del mangiare ha rivestito un carattere sacrale. Quell'atto che oggi è spesso vissuto come mera necessità fisiologica o come nevrotica compensazione psicologica, nella rivelazione cosmica era posto a fondamento della coesione sociale e dell'armonia fra Cielo e terra. Quelli di noi che sono più anziani e che forse hanno vissuto gli stenti della guerra conservano un profondo rispetto per il cibo in quanto simbolo di questo legame. Da bambino non capivo il perché mio padre ribadisse in modo perentorio che “il pane non si butta”: buttavamo di tutto e quello del pane mi sembrava un tabù superstizioso. Oggi, infatti, non siamo più consapevoli della preziosità del cibo poiché questo bisogno è continuamente soddisfatto e con il minimo sforzo. Non solo: i ritmi della modernità, la fretta, le cattive abitudini ci hanno fatto dimenticare il gusto e l’impegno nel guadagnarselo e, soprattutto, nel condividerlo. Per molti di noi anche il “mangiare insieme” è diventato l'eccezione, e così sono sempre meno le occasioni che ci consentono di sentire la vicinanza degli altri, offrendoci l’opportunità di stringere amicizie o rinsaldare vincoli comunitari. Non ci dimentichiamo che il cibo è cultura e identità: osservando ciò che mangiamo possiamo capire molto di noi e della società in cui viviamo. I cibi sono diventati sempre più artificiali nei sapori, negli odori e nell'aspetto, non ci rimandano più ai doni della terra e non ci comunicano più l'affetto di chi li preparava secondo gesti quasi rituali tramandati di generazione in generazione. Allo stesso modo anche le nostre vite diventano più artificiali e i legami che ci connettevano al nostro passato sono visti come inutili fardelli: viviamo senza accorgercene una sorta di adolescenza patologica.
Ne “la mia giornata con Cristo”, invece, padre Barsotti ci ricorda come ogni nostro atto si possa e si debba richiamare alla vita sacramentale, alla vita di Dio. E' questo il significato autentico della tradizione: tramandare il senso autentico della realtà. E dopo la rivelazione cosmica abbiamo quella profetica, quel “non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” per primo espresso dal Deuteronomio che ci riporta ad un simbolismo ancora più profondo: il nutrirsi dell'anima oltre che del corpo.
E, in ultimo, tutto convoglia alla rivelazione del Cristo, che riunisce tutti i significati del pasto sacro in una nuova luce: non è un caso che il primo e l'ultimo atto della vita pubblica di Gesù (le nozze di Cana e l'Ultima Cena) siano proprio dei conviti.
Il “pane quotidiano”, la richiesta più basilare dell'uomo di sempre, ci rivela quindi nuovi e sempre più profondi significati: “il pane che l’anima chiede è il Corpo di Cristo, è Gesù medesimo, il Pane vivo disceso dal cielo. Ed è certo questo alimento che, unico, può veramente saziare l’anima cristiana”. Averlo sempre presente, badando sempre tenere unita la nostra vita naturale a quella soprannaturale.